lunedì 24 agosto 2020

“L’Earth Overshoot Day slitta di tre settimane. Un segnale di speranza?”

Due giorni fa, il 22 agosto 2020, si è “celebrato” l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno del sovrasfruttamento della Terra. Nasce un nuovo debito di cui tutti noi fingevamo di ignorare l'esistenza. Il debitore questa volta non è solo la povera e amata Italia (che ha avuto il suo Overshoot Day il 14 maggio) bensì la popolazione mondiale, il creditore, invece, è il Pianeta.

Infatti da due giorni sarebbe terminato il capitale durevole e rinnovabile del pianeta e da questo momento cominciamo a sfruttare le risorse che la Terra non è più in grado di rinnovare, ovvero il suo capitale naturale accumulato in questi millenni. Come mostra l’immagine dell’articolo, stiamo spremendo piano piano tutta la “polpa” della Terra, ovvero le sue risorse; e consapevoli di questo ci stiamo assurdamente muovendo verso la ricerca di qualche altro pianeta “in zona”. Appare dunque utile porsi alcune domande: “Fino a quando questa situazione sarà sostenibile”? Ovvero, “fino a quando la Terra sarà in grado di fornire le risorse necessarie per tenere in piedi questo sistema, senza “andare in rosso”?

Il calcolo di questo giorno viene fatto dal Global Footprint Network, l’istituto che studia l’impronta ecologica. In pratica “[…] ogni essere umano ha necessità per vivere di una cera superficie terrestre, in grado di produrre alimenti, fornire materie prime ed energia, depurare i rifiuti, una quantità che è stata definita biocapacità e si misura in ettari globali […]” (libro Prepariamoci di Luca Mercalli). In pratica ognuno di noi al mondo ha bisogno di tot ettari di superficie terrestre per poter vivere. 

Ad oggi, a causa dello spregiudicato utilizzo delle risorse e delle grandi quantità d’inquinamento prodotto, ognuno di noi sta utilizzando più di quanto la Terra è in grado di fornire in maniera durevole e rinnovabile. La stiamo dunque sovrasfruttando.

Nell’articolo de “Il Messaggero” di due giorni fa dedicato all’Overshoot Day si legge che, quest’anno, questo giorno fatidico “[…] arriva in ritardo di tre settimane rispetto al 2019 a causa della pandemia di Covid-19”. Sempre nel medesimo articolo ci sono le parole del presidente del Global Footprint Network, Mathis Wackernagel, ambientalista svizzero, che afferma: “Anche se abbiamo fermato il trend negativo degli ultimi anni […] c’è poco di cui rallegrarsi perché il risultato è dovuto al Coronavirus”.

Continuando l’articolo si legge che sullo slittamento di questo giorno (nel 2019 è stato il 29 Luglio e nel 2018 il 23 Luglio) “[…] Ad incidere è stato soprattutto il calo delle emissioni di carbonio dovuto alle flessioni dei consumi energetici (-14,5%) e dei prodotti forestali (-8,4%).”

Come altri indicatori scientifici, questo dato mostra e fotografa la strada che l’essere umano sta continuando a percorrere. Il recente periodo di lockdown ha portato tutti noi ad alcune riflessioni su questioni come la fragilità dell’uomo, l'importanza delle sue libertà e dei suoi bisogni sociali ed esistenziali. Ma anche sull’invasività che lui stesso ha sugli ecosistemi di questo mondo. Siamo costretti - da un virus che non riusciamo neanche a vedere - a portare mascherine ovunque noi andiamo, a rispettare una distanza minima sociale. Scelta obbligata da uno Stato, potremmo dire, ma comunque una percezione di pericolo l’abbiamo sempre quando ora ci muoviamo.

Non siamo poi così invincibili. Al nostro antenato Homo Sapiens è bastato scottarsi la mano per capire le potenzialità e il pericolo del fuoco. Così noi, oggi, dobbiamo giocare d'anticipo, evitare che l’“Earth Overshoot Day” si trasformi nell'ennesimo termine anglosassone per definire qualcosa di cui dimenticarsi rapidamenteOccorre, dunque, fare una scelta di consapevolezza e indirizzare le nostre scelte verso uno stile di vita meno impattante sull’ambiente. Lo stiamo già facendo ma forse serve ancora una maggiore incisività. E una maggiore condivisione.

 

 


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